Singoli neuroni della memoria dichiarativa umana studiati in vivo

 

 

LORENZO L. BORGIA & GIOVANNI ROSSI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIII – 20 giugno 2015.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

La nostra mente basa il suo funzionamento ordinario su numerosi tipi di memoria, il cui studio costituisce oggetto tanto della neuropsicologia quanto della neurofisiologia. Una chiave di volta per tutte le classificazioni è la distinzione fondata sulla natura cosciente o non-cosciente dei contenuti memorizzati e sull’accessibilità volontaria e consapevole a tali contenuti. È evidente il rilievo che assume, con simili criteri, il riferimento allo strumento principale dei nostri processi coscienti, ovvero il codice linguistico della comunicazione e di quell’attività noetica che chiamiamo “discorso interiore”, perché usa parole, ma che comunemente è identificata col pensiero stesso.

Se da un canto tali classificazioni ci allontanano dal più prudente ed elementare paradigma dicotomico: memoria esplicita/memoria implicita, con la seconda omologa di quella animale ed ideale per la riflessione comparata; dall’altro, non si può negare che costituiscano un formidabile strumento - anche per chi non abbia una specifica formazione - per distinguere, riconoscere e comprendere i numerosi aspetti dell’esperienza umana del ricordare, rievocare, sapere e saper fare.

Ferma restando l’utilità di distinguere in base alla durata temporale una memoria a breve termine, oggi per lo più identificata con la memoria di funzionamento (working memory), ed una memoria a lungo termine, perché alla differenza concettuale corrispondono due diversi sistemi neurali, è la memoria di lunga durata, che già William James chiamava “memoria propriamente detta”, il principale oggetto delle classificazioni basate in massima parte sui risultati delle ricerche neuropsicologiche[1]. Lo studio di H. M., il celebre paziente di Brenda Milner, e il lavoro di Squire e colleghi, per la prima volta hanno reso evidente che i pazienti affetti da amnesia perdevano la memoria di nomi, concetti, fatti ed eventi, ma conservavano le abilità motorie apprese (H. M.) e l’apprendimento riflesso semplice, consistente nella capacità di formare memorie con l’abitudine, la sensibilizzazione, il condizionamento associativo ed operante (pazienti di Squire). Inoltre, le persone affette da amnesia si dimostravano capaci di migliorare le prestazioni in compiti percettivi e concettuali. Ad esempio, nel tipo di memoria chiamato priming, consistente nel miglioramento della percezione di un oggetto o di una parola per averli già visti, gli amnesici fanno registrare prestazioni equivalenti a quelle delle persone sane, anche se non ricordano di aver già visto in precedenza gli stimoli.

Peter Graf e Daniel Schacter, per primi, si chiesero se questa distinzione fra tipi di memoria, dedotta dallo studio di pazienti affetti da lesioni cerebrali responsabili di amnesia, fosse una realtà fisiologica presente in tutti noi. La conferma sperimentale dell’esistenza nella funzione normale del cervello umano di queste due categorie di processi, ottenuta grazie al lavoro di molti gruppi di studio e ulteriormente sostenuta dall’identificazione di correlati neurofunzionali distinti, ha portato alla distinzione fra una memoria esplicita o dichiarativa e una memoria implicita o non-dichiarativa.

Il neuropsicologo canadese Endel Tulving, sulla base dei suoi studi e di numerose evidenze emerse dall’analisi della memoria umana da parte di altri studiosi e ricercatori, propose la distinzione della memoria esplicita o dichiarativa in due tipi: 1) la memoria semantica, consistente nella memoria di nozioni, e precipuamente impiegata nello studio scolastico, nell’apprendimento cognitivo di dati necessari allo svolgimento di compiti professionali o della vita di tutti i giorni; 2) la memoria episodica, consistente nella memoria di eventi, esperienze, episodi di vita e fatti vissuti in prima persona e, perciò, ampiamente coincidente con la memoria autobiografica.

Lo studio della memoria esplicita o dichiarativa ha consentito l’identificazione di quattro distinte operazioni di base che, in attesa di conferme sperimentali, si assume riflettano distinti processi neurofunzionali: codificazione, immagazzinamento, consolidamento e recupero (o rievocazione). Lo studio scientifico dei correlati neurofunzionali di questi due tipi di memoria esplicita umana è solo gli inizi, ma ha già fornito alcuni interessanti elementi, che possono essere così sintetizzati: la conoscenza episodica dipende da interazioni fra il lobo temporale mediale e le aree corticali di associazione; la conoscenza semantica è immagazzinata in diverse cortecce associative e la sua rievocazione dipende dalla corteccia prefrontale.

La memoria esplicita o dichiarativa, ossia la memoria di nozioni ed episodi che possono essere liberamente richiamati alla coscienza, non ha precisi equivalenti negli animali e, pertanto, può essere studiata solo nell’uomo, con i limiti che ciò comporta. Oltre lo studio neuropsicologico tradizionale, quello aggiornato secondo principi e metodi delle scienze cognitive e l’indagine dei correlati neurali di compiti sperimentali ricercati con le più avanzate metodiche di neuroimaging, generalmente non si va, rimanendo rare eccezioni gli studi basati sul rilievo diretto dell’attività elettrica di gruppi neuronici. Una di queste rare eccezioni, qui di seguito recensita, ha fornito dati di notevole interesse.

Le decisioni basate sulla memoria sono spesso accompagnate da una valutazione della certezza della scelta, ma i meccanismi di tali giudizi di affidabilità non sono ancora stati definiti. Ueli Rutishauser e colleghi, accedendo al cervello di persone volontarie durante interventi neurochirurgici, hanno condotto uno studio in vivo mentre i pazienti prendevano decisioni basate su rievocazioni di memorie, delle quali, contemporaneamente, giudicavano l’affidabilità. I ricercatori hanno registrato l’attività di singoli neuroni ed hanno identificato una popolazione di cellule nervose selettive per la memoria e sensibili alla sua forza (Rutishauser U., et al., Representation of retrieval confidence by single neurons in the human medial temporal lobe. Nature Neuroscience - Epub ahead of print doi:10.1038/nn.4041, 2015).

La provenienza degli autori dello studio è la seguente: Department of Biomedical Sciences, Department of Neurology, Department of Neurosurgery, Cedars-Sinai Medical Center, Los Angeles, California (USA); Computation & Neural System Program, California Institute of Technology (CIT), Pasadena, California (USA).

I ricercatori hanno registrato e studiato la risposta di 1065 singole cellule nervose dell’ippocampo e dell’amigdala dei volontari, mentre questi, nel corso dell’intervento neurochirurgico operavano scelte di rievocazione valutando l’affidabilità della memoria. Combinando i dati dell’attività elettrica dei neuroni registrati con l’analisi comportamentale e computazionale, Rutishauser e colleghi hanno identificato una popolazione neuronica selettiva per la memoria (MS, da memory-selective). La popolazione MS era costituita da neuroni la cui attività segnalava la familiarità con lo stimolo e l’affidabilità, come è stato confermato e verificato mediante il confronto con l’esperienza soggettiva riferita dai volontari.

Il ruolo fisiologico di questa popolazione è stato interpretato anche alla luce del rapporto e del contrasto con le risposte di neuroni selettivi per la percezione visiva (VS). Lo studio elettrofisiologico della popolazione VS mostrava con chiara evidenza l’insensibilità di queste cellule nervose alla forza della memoria.

Il complessivo confronto fra le proprietà e l’attività della popolazione MS e della popolazione VS ha fatto registrare differenze in tre importanti parametri: 1) latenza della risposta; 2) sintonizzazione; 3) configurazione delle onde elettriche extracellulari.

Lo studio ha dimostrato che l’informazione fornita dalla popolazione MS era sufficiente per definire un modello in grado di decidere la familiarità dello stimolo e l’affidabilità della rievocazione mnemonica.

Il complesso dei dati emersi dalla sperimentazione, per il cui dettaglio si rinvia alla lettura del testo integrale del lavoro originale, indica l’esistenza nel cervello umano di un rapporto, prova per prova, fra uno specifico gruppo di neuroni e la forza della memoria accessibile.

Fondandosi su queste evidenze, gli autori dello studio ipotizzano che le popolazioni MS e VS costituiscano, in realtà, una parte della base citoneurale della memoria dichiarativa.

 

Gli autori della nota ringraziano la dottoressa Floriani per la revisione della bozza e invitano alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Lorenzo L. Borgia & Giovanni Rossi

BM&L-20 giugno 2015

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Una delle classificazioni maggiormente impiegate come riferimento nella ricerca delle basi neurali della memoria è così articolata: MEMORIA DICHIARATIVA, distinta in Episodica e Semantica; MEMORIA NON DICHIARATIVA, distinta in Procedurale ed Implicita, a sua volta distinta in Associativa, Non Associativa ed Impressiva (o Priming). Questa classificazione, adottata anche dalla nostra scuola (v. “Memoria e Sonno” in “AGGIORNAMENTI”, 2007), non identifica memoria implicita e non dichiarativa, e riconosce specifica identità alla memoria procedurale (la memoria di procedure motorie che consente di suonare uno strumento musicale, guidare l’auto, scrivere al computer, andare in bicicletta, ecc.). In questo scritto si è scelto di non seguire questa classificazione, ma quella adottata da Eric Kandel, perché è la più nota ed impiegata a scopo didattico in tutto il mondo.